giovedì 21 ottobre 2010

Buddismo Theravada

Il Theravada (sanscrito: sthaviravada), letteralmente “l’Insegnamento degli Anziani” è la più antica scuola buddhista sopravvissuta. La scuola Theravada deriva dal gruppo Vibhajjavada che emerse dal gruppo Sthavira al tempo del Terzo Concilio Buddhista (intorno al 250 AC), durante il tempo del Re Ashoka.

Il Theravada promuove la dottrina del Vibhajjavada, letteralmente “l’Insegnamento dell’Analisi”. Secondo questa dottrina la corretta visione, l’insight, deriva dall’esperienza del praticante, dall’analisi critica e dalla ragione, piuttosto che dalla fede cieca; ciononostante, secondo la tradizione delle scritture Thera è anche fondamentale seguire i consigli dei saggi, essendo questi ultimi, insieme alla valutazione delle proprie esperienze, i due “test” per poter giudicare la propria pratica.

Nel Theravada, la causa dell’esistenza umana e della sofferenza (dukkha) viene identificata nel desiderio (tanha), oltre alle altre afflizioni come la rabbia, l’avversione, l’orgoglio, la gelosia, l’invidia, la paura, la passione, l’irritazione, l’ansietà, la distrazione ecc.. Si crede che queste afflizioni siano abitudini che derivano dall’ignoranza (avijja) che oscura la mente di tutti gli esseri non illuminati. Ignoranza di cosa? Delle tre verità di ogni fenomeno samsarico, ovvero sofferenza (dukkha), impermanenza (anicca) e mancanza di sé (anatta). Tutte le cose infatti sono caratterizzate dalla sofferenza e dall’insoddisfazione; persino la realizzazione dei nostri più intimi desideri è destinata ad essere insoddisfacente, proprio perché niente è permanente, persino la più minuta molecola. Tutte le cose inoltre sono senza un sé, ovvero prive di un’esistenza ultima. Gli esseri non illuminati invece prendono le proprie afflizioni come un “sé”, attaccandosi ad esse a causa dell’ignoranza della verità.

Per essere liberi dalla sofferenza e dallo stress queste afflizioni devono essere permanentemente sradicate. Ciò è possibile tramite il Triplice Addestramento nella Moralità (Sila), Concentrazione (Samadhi) e Saggezza (Panna), e la pratica del Nobile Ottuplice Sentiero.


Nobile Ottuplice Sentiero

Primo Nobile Sentiero: Retta Visione

La Retta Visione consiste nella conoscenza, dapprima teoretica, e poi assimilata attraverso la pratica, delle 4 Nobili Verità. Nel Mahasatipattana Sutta, uno dei più importanti discorsi di Buddha Shakyamuni nel Theravada, è scritto: “E cosa è, o monaci, la Retta Visione? Comprendere la sofferenza, comprendere l’origine della sofferenza, comprendere la fine della sofferenza e comprendere la via che conduce all’estinzione della sofferenza: questa è chiamata Retta Visione”

Secondo Nobile Sentiero: Retta Intenzione

Tradotto anche come “retto pensiero”, si riferisce principalmente alla ferma risoluzione di rinunciare al ciclo delle rinascite abbandonando l’avidità, la malevolenza e l’offuscamento mentale. Nel Magga-Vibhanga Sutta è scritto: “E cos’è il Retto Pensiero? Essere risoluti nella rinuncia, nella libertà dalle cattive intenzioni, nell’innoquità: questo è chiamato Retto Pensiero”.

Terzo Nobile Sentiero: Retta Parola

Si tratta di una serie di precetti sull’uso del linguaggio. Bisogna astenersi dal dire il falso per vantaggio proprio o altrui, dal seminare discordia, dal rivolgersi ad altri in modo aggressivo o scortese, dall’intrattenersi su argomenti futili e insulsi (principalmente il gossip). “E cos’è la retta parola? Astenersi dal mentire, astenersi dalla parola che divide, astenersi dalla parola offensiva, astenersi dalle chiacchiere oziose: questa, o monaci, è la Retta Parola”

Quarta Nobile Sentiero: Retta Azione

La Retta Azione, tradotta anche come “retta condotta”, implica il modo corretto in cui il praticante buddhista dovrebbe comportarsi nella propria vita quotidiana. “E cos’è la retta azione? Astenersi dal prendere la vita, dal rubare, e dal rapporto sessuale scorretto. Questa è chiamata Retta Azione”. Il quarto Nobile Sentiero viene spesso spiegato attraverso i Cinque Precetti, voti che il praticante buddhista laico prende:

1- Astenersi dall’uccidere. Include l’essere il mandante di essa o approvarla, l’istigazione al suicidio e l’aborto.

2- Astenersi dal prendere ciò che non ci viene dato

3- Astenersi dal cattivo comportamento sessuale, particolarmente la violenza sessuale e l’adulterio, guardando alle donne non qualificate per il rapporto come madri, sorelle o figlie in base all’età

4- Astenersi dalla menzogna

5- Astenersi dalle sostanze intossicanti (alcol, droghe..)


Quinto Nobile Sentiero: Retta Vita

Tradotta anche come “retti mezzi di sostentamento”, si basa principalmente sul concetto di ahimsa (non violenza), ed essenzialmente afferma che bisogna astenersi da occupazioni che, direttamente o indirettamente, causano danno agli esseri. “Oh Monaci, un praticante laico non dovrebbe impegnarsi in cinque tipi di commerci. Quali cinque? Commercio di armi, commercio di esseri umani, commercio di carne, commercio di intossicanti, commercio di veleni”

Sesto Nobile Sentiero: Retto Sforzo

Il Retto Sforzo, che implica essenzialmente lo sforzo continuato nel mantenere la propria mente libera da quei pensieri che potrebbero ostacolare la pratica degli altri elementi dell’Ottuplice Sentiero, è quella disciplina mentale che opera in quattro direzioni: onde evitare l’insorgere di afflizioni non ancora sorte, abbandonare le afflizioni già sorte, propiziare il sorgere di virtù non ancora sorte e incrementare le virtù già sorte.

Settimo Nobile Sentiero: Retta Consapevolezza

La Retta Consapevolezza è costituita dalla pratica della Vipassana che, insieme alla Concentrazione, è la principale pratica di meditazione nel Theravada. Essa consiste essenzialmente nell’osservazione di tutti i fenomeni che accadono nel corpo e nella mente, ed ha quattro oggetti di osservazione: il corpo, le sensazioni, la mente e i dharma (in questo contesto ci si riferisce ai fenomeni mentali). Grazie alla corretta consapevolezza la mente si purifica dai suoi veli oscuratori, vedendo la vera natura delle cose, insoddisfacente, impermanente e vuota di sé. Grazie a ciò è possibile raggiungere la Liberazione

Ottavo Nobile Sentiero: Retta Concentrazione

Il Buddha spiega la Retta Concentrazione nei termini dei 4 jhana (dhyana in sanscrito). La base da cui è possibile realizzare i jhana è generalmente costituita dall’anapanasati, la concentrazione sul respiro. Prima dei jhana si entra in un pre-stadio caratterizzato dall’abbandono dei Cinque Ostacoli (desiderio sensuale, malevolenza, torpore, agitazione, dubbio). Questo pre-stadio è uno stato instabile dove la mente è concentrata sul proprio oggetto, ma non come nello stato di piena concentrazione (jhana), dove si assiste ad un livello nettamente diversi di consapevolezza, in cui la mente non funziona nel livello sensoriale ordinario. In questo pre-stadio alcuni meditatori possono sperimentare immagini mentali molto vivide simili ai sogni, oppure avere la sensazione che il proprio respiro o il proprio corpo sparisca lasciando pura consapevolezza. Quando questi fenomeni accadono non bisogna esserne interessati o spaventati, ma bisogna continuare la meditazione. Quando si supera questo pre-stadio si entra nei 4 stadi di piena concentrazione (Jhana):

1- Primo Jhana: in questo stadio appare una forma di beatitudine (formata da gioia e felicità). Solo i movimenti mentali più sottili rimangono. L’abilità di creare intenzioni malvagie cessa.

2- Secondo Jhana: in questo stadio i movimenti mentali sottili cessano. Rimane la beatitudine. Cessa anche l’abilità di creare intenzioni positive

3- Terzo Jhana: in questo stadio cessa l’aspetto gioioso della beatitudine, ma rimane comunque uno stato di felicità

4- Quarto Jhana: cessa anche la felicità, entrando in uno stato che non è caratterizzato né dal piacere né dal dolore. E’ uno stato di perfetta purezza e equanimità. Il respiro cessa temporaneamente.
Con il quarto Jhana si dice che incominci l’acquisizione dei poteri paranormali, ma non è questo lo scopo della meditazione. Lo scopo della realizzazione della piena concentrazione è di rinforzare e raffinare la mente, in modo tale da poterla dirigere con chiarezza ai fenomeni realizzandone la natura.


I Livelli di Realizzazione


Attraverso la pratica, i praticanti possono raggiungere 4 livelli di realizzazione, che riflettono il loro stato mentale:

1- L’entrato nella corrente (sotapanna): sono entrati nella corrente del Dhamma, hanno distrutto le prime tre catene (falsa visione del sé, dubbio, attaccamento ai riti e ai rituali), non rinasceranno nei reami inferiori, e al massimo impiegheranno 7 vite per raggiungere la Liberazione.

2- Il ritornato una volta (sakadagami): oltre ad avere eliminate le tre catene hanno anche diminuito l’attaccamento sensuale e l’avversione. Raggiungeranno la Liberazione al massimo dopo essere tornato ancora una volta nel mondo.

3- Il Non Ritornato (anagami): hanno eliminato le cinque catene (falsa visione di sé, dubbio, attaccamento ai riti, attaccamento sensuale, avversione), ma non sono ancora liberi dall’attaccamento ai jhana, da una forma sottile di orgoglio, dall’agitazione e dall’ignoranza. Alla morte loro non rinasceranno in questo mondo, ma in un mondo celestiale dove raggiungeranno la Liberazione

4- Il Liberato (Arahant): coloro che hanno realizzato il Nibbana, lo stato senza morte in cui le afflizioni sono completamente cessate. Il Nibbana si suddivide in quello con “residuo”, quando l’Arahant è ancora vivo, ed ha quindi il residuo dei cinque aggregati (che quindi possono essere il sostrato di forme di sofferenza fisica, ma non mentale), e quello “senza residuo”, dopo la morte.


Scritture

Le scritture sacre del Theravada, il Canone Pali, sono chiamate Tripitaka, in quanto formate da Tre Canestri: il Vinaya Pitaka, il Sutta Pitaka e l’Abhidhamma Pitaka. Il primo tratta delle regole di condotta monastiche, il secondo è l’insieme dei testi che trattano della storia e delle parole del Buddha, e l’ultimo comprende gli insegnamenti più filosofici, psicologici e metafisici. Essi vengono fatti corrispondere ai Tre Addestramenti: il Vinaya alla Moralità (Sila), i Sutta alla Concentrazione (Samadhi), e l’Abhidhamma alla Saggezza (Panna). Secondo l’opinione di buona parte degli studiosi l’Abhidhamma fu aggiunto successivamente in quanto sembra che al Primo Concilio Buddhista erano presenti solo due Pitaka. In ogni caso i primi testi vennero scritti nel primo secolo avanti cristo, essendo tradizione di quei tempi trasmettere gli insegnamenti in modo orale. La porzione dei Sutta e del Vinaya del Tripitaka mostra una sovrapposizione considerevole con l’insieme dei testi usati dalle scuole non-theravada che vanno a formare il Canone Cinese e Tibetano. L’Abhidhamma usato nel Theravada invece non è riconosciuto nel Mahayana. Per contro, i Sutra Mahayana non sono riconosciuti dal Theravada. Nel quinto secolo dopo Cristo fu Buddhaghosha a scrivere il primo commentario al Canone Pali, il Visuddhimagga (il Sentiero della Purificazione).

Un grazie per questo sunto a Marco Scarinci

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